Negli ultimi decenni la medicina estetica ha maturato una nuova consapevolezza dei propri scopi e dei propri limiti. Compito dello specialista non è di modificare l’aspetto di un paziente applicando i modelli estetici del momento, ma valorizzare le qualità che rendono il paziente unico, facendone emergere, per così dire, la bellezza interiore. IBSA ha abbracciato fin da subito questa filosofia e le ha dato un nome: “bellezza autentica”.
I risultati della bellezza autentica si vedono nel lungo periodo e richiedono più trattamenti, mentre il desiderio di chi si sottopone a un trattamento estetico è di avere soluzioni rapide e visibili subito.
La difficoltà è ancora più evidente se l’interlocutore è un paziente che rappresenta esigenze e modelli culturali nuovi. È quanto sta succedendo con i Millennial, una nuova generazione di utenti, che grazie al peso professionale ed economico che comincia ad avere nella società, sta riscrivendo le regole del mercato. È quanto ha provato a fare IBSA, arrivando a una soluzione, visto il pubblico di riferimento, tutt’altro che ovvia e prevedibile.
Gli Older Millennial, nati tra il 1980 e 1990, sono la prima generazione cresciuta con internet. Abituati ad elaborare ogni giorno un enorme flusso di dati, sanno discriminare tra informazioni utili e spam. Soprattutto detestano i modelli calati dall’alto e le sovrastrutture, anche quelle retoriche. Apprezzano invece chi comunica in modo franco e diretto e utilizza canali che favoriscono l’approfondimento e l’interazione, come i video di YouTube e i social (ciò richiede da parte di medici e opinion leader un necessario aggiustamento di tono).
Queste premesse valgono anche per il rapporto che i Millennial intrattengono con la bellezza: non accettano canoni estetici ufficiali e ritengono che la diversità non sia un problema ma un valore. Nei confronti della medicina estetica fanno tesoro dell’esperienza dei genitori, che di questo mercato sono stati i primi utenti “di massa”. Sanno che prevenire è meglio che curare e che bisogna cominciare presto. Si sottopongono a trattamenti di pre-juvenation già a 25 anni, e promettono di stabilire un rapporto duraturo con i dermatologi e i medici estetici che avranno ottenuto la loro fiducia.
Come si può vedere, gli Older Millennials non presentano forti segni di discontinuità nei confronti della generazione precedente, quella dei loro genitori. Molto diversi sono invece i Millennial nati dopo il 1990 e la generazione che segue, i Gen Z, nati tra il 2000 e il 2012. Si tratta dei cosiddetti “digital native” e la loro caratteristica distintiva è già dichiarata in questo nome.
Rispetto al segmento degli Older Millennial, che hanno avuto il primo smartphone a 15 anni, età in cui lo sviluppo fisico e psicologico è già in parte completato, i digital native sono nati e cresciuti con lo smartphone in mano, cioè completamente immersi nell’ecosistema digitale.
Non è una distinzione da poco. I digital native hanno costruito la propria identità rispecchiandosi nello schermo del telefonino e considerano la propria immagine elettronica altrettanto reale quanto quella fisica. La differenza è minima ma sostanziale. La telecamera del cellulare restituisce un’immagine diversa da quella dello specchio. Altera in modo significativo le proporzioni del volto (schiaccia gli zigomi e ingrandisce il naso) esalta i contrasti cromatici, fa emergere le imperfezioni della pelle.
Richiede dunque una serie complessa di aggiustamenti, e a questo fine sono disponibili innumerevoli filtri e applicazioni di fotoritocco, pronti da installare sui cellulari, che consentono di ottimizzare la propria immagine per renderla efficace e compatibile con i social media. Le ragazze aumentano le dimensioni di occhi e labbra, i ragazzi si creano un mento più volitivo.
Manipolare in questo modo la propria immagine sembra una pratica innocua, ma non lo è, perché mette in gioco l’identità e l’accettazione da parte dei coetanei. Anzi, in alcuni casi produce un vero o proprio sdoppiamento percettivo e psicologico: da una parte il sé reale, dall’altra quello ideale da condividere sul web. È la cosiddetta “dismorfia da selfie”.
I ragazzi che soffrono di questa sindrome hanno una sola ossessione: diventare il proprio sé virtuale. È un desiderio che li porta inevitabilmente a rivolgersi al chirurgo estetico. Sarà in grado di farli assomigliare a quella persona che sorride dallo smartphone?
Il problema è piuttosto delicato, perché gli interventi di chirurgia plastica, specie nei minorenni, dovrebbero essere praticati solo per trattare problemi funzionali o inestetismi molto gravi. Il rischio è poi di rendere irreversibile un intervento fatto sull’onda dell’impulsività, o peggio, della moda del momento.
Ma si può fermare un’onda di piena con ragionamenti logici? In casi come questi si rende necessaria una soluzione inaspettata che rimescoli completamente le carte. È esattamente la logica che ha ispirato MYVolution®.